14/2/2004-14/02/2013: In memoria di Marco Pantani

Madonna di Campiglio, 5 giugno 1999: “Mi sono rialzato, dopo tanti infortuni, e sono tornato a correre. Questa volta, però, abbiamo toccato il fondo. Rialzarsi per me sarà molto difficile”. Queste parole segnano l’inizio della parabola discendente di Marco Pantani, quella che lo ha portato, cinque anni dopo, a morire nella solitudine di un residence, schiavo della cocaina.

Nel 1999 “il Pirata” era all’apice della carriera agonistica. Reduce dalla storica doppietta Giro-Tour dell’anno precedente, si apprestava a vincere da dominatore incontrastato nuovamente il Giro d’Italia. Purtroppo, come spesso gli era successo in carriera, la dea bendata gli volta le spalle. Un controllo antidoping rileva un valore di ematocrito superiore del 2% rispetto al valore massimo. Ciò comporta la squalifica dal Giro, con la vittoria finale davvero ad un soffio. Qui inizia il calvario di Marco. Da naturale prosecutore della gloriosa tradizione ciclistica italiana a ciclista “dopato”, l’opinione pubblica che inizia a rivalutare le vittorie, gli amici, o presunti tali che iniziano ad allontanarsi e lo spettro della polvere bianca che inizia ad aleggiare sulla sua psiche, provata da tutto ciò. Nonostante tutto il Pirata non molla, partecipa al Tour nel 2000 e nel 2001, dando filo da torcere ad Armstrong, si ripropone al Giro fino al 2003, mettendosi a disposizione dei compagni. Pantani sembra aver perso la stoffa del campione, quella che lo aveva portato ai fasti del 1998. La testa ed il morale, ormai sotto i pedali, avevano rotto i cambi tra quei passi delle Dolomiti, portandolo inesorabilmente al tragico epilogo quel 14 febbraio 2004.

Pantani_sdato_all_arrivoMarco Pantani  è morto per abuso di sostanze stupefacenti, è vero. Ma non era un drogato. E’ stata semplicemente una persona che ha sbagliato ed ha pagato un prezzo troppo alto per i suoi errori. Si è cucito, o si è fatto cucire, l’etichetta del campione dopato, di quello che ha vinto barando, mentre il mondo del ciclismo elevava a modelli di sport pulito atleti, le cui vittorie, come testimoniano le ultime inchieste, sono state macchiate dal doping. Marco Pantani non era una persona dal carattere debole. Spesso si è ripreso da infortuni che avrebbero potuto compromettere seriamente la sua carriera, ma puntualmente si è rialzato ed ha tagliato il traguardo con le braccia alzate. Una frattura si può curare, un legamento ricucire. Ma le ferite dell’anima e dell’orgoglio difficilmente si possono curare. Marco si è rifugiato nella cocaina, certamente commettendo un nuovo errore, per lenire il dolore procurato da quel mondo del ciclismo che lo ha prima idolatrato poi ripudiato, riducendolo a capro espiatorio di un fenomeno che purtroppo ancora affligge lo sport. Era giusto che Marco Pantani pagasse i suoi errori, meno che lo facesse per un’intera generazione di corridori, dato che la sua vicenda non è servita a dissuadere i suoi coetanei dall’uso di sostanze vietate.

Per fortuna al Pirata non è mai mancato l’affetto ed il sostegno della gente, quella comune che ha capito i suoi errori ma non lo ha colpevolizzato oltremodo, perdonandolo come un genitore farebbe con un figlio. Non lo scrivo per circostanza o perché sono sempre stato, nel bene e nel male, un suo tifoso. Ho costatato personalmente quanto la gente volesse bene a Marco, anche dopo Madonna di Campiglio, ed è così che voglio ricordarlo a 9 anni dalla morte, piuttosto che esultante al traguardo sugli Champs Elysee o mentre indossa con fierezza la maglia rosa. Il Giro 2003, l’ultimo corso da Pantani, previde come arrivo e partenza della tappa successiva Benevento. La mattina della partenza mi appostai sotto il pullman della sua squadra, con la speranza di strappare un autografo o una stretta di mano al mio idolo, quello che con la sua pedalata di cuore mi ha fatto tante volte emozionare ed esultare. Ebbene, la gente assiepata con le mie stesse aspettative era talmente tanta che ciò non mi fu possibile, ma comunque ebbi la soddisfazione di vederlo dal vivo sfilare verso la partenza della tappa di un Giro che non avrebbe mai più corso.

Onore a te, Pirata.