Per mia colpa, mia colpa

Ce l’aveva quasi fatta a perdere anche stavolta. Quella del PD alle politiche del 2013 è la più clamorosa “non-vittoria” nella storia repubblicana italiana. Ma il confine tra l’insuccesso e una Caporetto si è fatto sempre più pericolosamente labile man mano che il vantaggio alla Camera si assottigliava fino a ridursi a mezzo punto percentuale. Normale quindi che, in un pomeriggio iniziato con moderata tranquillità, mutata in psicodramma dopo che le prime proiezioni smentivano gli instant poll, nessuno dei democratici si sia azzardato ad avvicinarsi a un microfono. Mezzo punto percentuale in meno alla Camera, e il PD avrebbe pacatamente, serenamente, lettianamente dovuto ammettere di “accettare con rispetto il verdetto degli italiani e  avviare una seria riflessione interna”.

ImmagineLa necessità di una riflessione sulle responsabilità da parte della dirigenza democratica può essere posticipata, fintanto che c’è da risolvere – ammesso che vi sia soluzione – il rebus Senato. Ma la “riflessione” non può non coincidere con una severa autocritica da parte dell’establishment di via Sant’Andrea delle Fratte. Bersani&co. possono e devono incolpare solo sé stessi per la mancata vittoria. Un successo che sarebbe dovuto essere addirittura schiacciante, date le condizioni di partenza e il certificato largo vantaggio, tali da conferire un valore al limite dell’epico, sia alla risicata vittoria del 2006 da parte del minestrone prodiano, ma paradossalmente pure alla batosta del 2008, quando il PD ottenne una percentuale di consensi, che in questa tornata è stata al più solo lambita per effetto delle primarie di coalizione.

I NUMERI – La coalizione di centrosinistra ha lasciato per strada rispetto al 2008 qualcosa come 3 milioni di voti. Sempre con riferimento alla coalizione, l’Italia dei Valori si comportò decisamente meglio del terzetto SEL+Centro Democratico+SVP, ottenendo il 4.37% e circa 100mila voti in più. Il PD dovrebbe chiedersi che fine abbiano fatto i 12 milioni di voti presi con Veltroni candidato premier,  e come si siano potuti ridurre oggi a 8 milioni e 640mila. Anche perché rispetto al 2008 il PDL è stato capace di fare molto peggio perdendo come coalizione più del doppio dei consensi smarriti dal centrosinistra.

IL PORCELLUM – Il ridicolo sistema elettorale con cui si è andati al voto ha rappresentato per il centrosinistra la zattera di salvataggio e la pala con cui scavarsi la fossa. È difficile non trattenere la perplessità di fronte ai proclami di vittoria, se si pensa che lo scenario prodotto questa volta dal porcellum è addirittura peggiore e più fosco rispetto al 2006, dove quantomeno una maggioranza al Senato, seppur irrisoria, c’era. Allora come oggi, il PD riteneva di poter essere il principale beneficiario del bizzarro e bizantino sistema elettorale disegnato dal porcellum, ritrovandosi puntualmente a pagare un pesante dazio. Con grande disappunto manifestato in maniera piuttosto esplicita anche dal Colle, è fallito l’obiettivo di modificare la legge elettorale durante l’anno di governo Monti. Si trattava di un obiettivo minimo richiesto alla politica dei partiti componenti la “strana maggioranza”, ma nessuno dei temporanei sostenitori di Monti ha mostrato la ferma volontà di mandare in pensione il porcellum, e in ciò il PD è non meno corresponsabile.

LA CAMPAGNA ELETTORALE – Non c’è solo il fatto che Bersani sia unanimemente ritenuto un leader privo del necessario carisma per ergersi a capopopolo e guida illuminata degli italiani (ci sarebbe da discutere sull’impellente e ineludibile necessità degli italiani di farsi “guidare” da una forte leadership). In campagna elettorale, il PD ha scelto in maniera tanto deliberata quanto scellerata…di non fare campagna elettorale. Un primo errore madornale è stato riposare sugli allori confidando nell’euforia generata dalle primarie di coalizione e da quelle per i parlamentari. Eventi che effettivamente hanno portato una ventata di entusiasmo e ottimismo nell’elettorato, la cui aura però è andata scemando nel tempo, sotto i colpi di una campagna elettorale tutta incentrata su temi meno nobili ma più concreti e pressanti, fisco su tutti. Con un 34-35% in cassaforte e Berlusconi costretto alle maratone televisive per rincorrere, la sensazione era quella di credere che bastasse evitare le sparate a la Grillo, opporsi all’aggressività rabbiosa e demagogica degli avversari, rifiutando l’ingaggio dialettico impostato su temi e toni degli altri. Ciò però ha comportato anche che il PD rinunciasse sostanzialmente ad andare a persuadere gli elettori casa per casa, se necessario, come non ha disdegnato di fare tale Obama Barack, che pure si sentiva abbastanza al sicuro. Si è fatto narcisisticamente ingolosire dall’ampia offerta di palinsesti televisivi, rinunciando alla sua storica capacità di richiamare gli elettori nelle piazze.

IL PROGRAMMA – Una simile strategia attendista di conduzione della campagna elettorale ben si accompagnava alla stesura di un programma scritto, il quale, quando non omissivo su certi punti – Cultura, Turismo per fare due esempi – brillava per vaghezza e generalità, due attributi rivelatori in fondo di un antico neo vecchio come il PD: la compresenza, che spesso si è tradotta in aperta conflittualità, di varie anime e orientamenti al suo interno, per bilanciare i quali a finire sull’altare sacrificale è stata la chiarezza sui progetti, una presa di posizione e una linea da dettare su alcuni temi – economia e lavoro per citarne due – di indubitabile e inequivocabile comprensione e deducibilità. Si è perseverato col dire che sarebbe stata introdotta una patrimoniale oltre una certa soglia di reddito e che si sarebbero tassate le transazioni finanziarie (quali?), mentre qualche settimana dopo il principale esponente dello schieramento avverso prometteva la restituzione dell’IMU e inviava milioni di lettere, alla faccia della vaghezza.

RENZI – Ahhh se ci fosse stato Matteo Renzi, a quest’ora la sinistra sarebbe in piazza a brindare! Quando i crampi allo stomaco per la risalita del centrodestra hanno iniziato a farsi sentire, il pensiero sospirante è subito andato al sindaco di Firenze. E certo che avrebbe vinto lui, ma non serviva mica perdere quasi le elezioni per scoprirlo. Sul Sole 24 Ore, il professore Roberto D’Alimonte nei giorni antecedenti il ballottaggio delle primarie di coalizione delineava chiaramente il paradosso di un Renzi che avrebbe tranquillamente sbancato alle elezioni, se gli fosse riuscito di vincere il duello a sinistra con Bersani.

Tutti i punti di cui sopra, per ribadire, concludendo, che il PD non è mai riuscito a trasmettere, se non a tratti e in maniera ancora una volta vaga ed evanescente, la convinta volontà di imprimere un risoluto cambiamento alla politica italiana. Ha fallito nel tentativo di proporsi all’elettorato come la vera e credibile alternativa progressista per iniziare un nuova stagione politica. Ritengo sia questo il motivo principale per cui molti, specie tra i giovani, abbiano alla fine optato per il Movimento Cinque Stelle. Confidavano in un PD più fresco e dinamico, ritrovandosi invece sempre i soliti da D’Alema alla Bindi  – e uno poi dovrebbe biasimare chi si rifiuta di votare per un partito che candida ancora Rosi Bindi!? – gli stessi personaggi tra l’altro che costituiscono l’apparato – di intellighenzia preferirei non parlare – del centrosinistra, da più di vent’anni. Sarà poi solo un caso che non si vinca mai?